Guido
decise che Monica non si divertiva più ad abitare con lui, anche perché era
stanco di lasciarle la casa libera nei fine settimana, affinché potesse
ricevere a turno i suoi migliori amici, di lui.
Il problema stava nel fatto che i vari Uccio, Gianni, Roberto pretendevano che Monica diventasse la loro fidanzata ufficiale. A Guido non andava giù, ma neanche su. Quella donna l’aveva plasmata, n’era l’autore, suoi i diritti e anche i rovesci. L’aveva ereditata con tutti i problemi psicologici e fisici che ne arricchivano il fascino. C’era un tacito patto fra loro: sarebbero rimasti insieme per sempre, a prescindere dalla durata e dall’importanza delle storie da week-end. E quei porci di spasimanti non capivano, spasimavano e basta. Certo che facevano bene il loro mestiere, gliela toglievano dalle palle per qualche ora, ma poi pretendevano di essere consolati, certi piangevano addirittura, perché non capivano la strana latitanza della ragazza. Guido, invece, conosceva la strategia di Monica, che prima li attirava in una trappola sexy, se li faceva e poi… ristoranti, gite, discoteche, shopping e poi ancora… diventava incomprensibile, sfuggente, soprattutto nei giorni infrasettimanali. Non rispondeva al telefono, si nascondeva in casa per non farsi trovare… faceva il doppio gioco, teneva il piede in un due scarpe; a volte la scarpa in due piedi. Allora gli amici perseguitavano Guido, chiedevano spiegazioni e gli raccontavano tutto: i sabati notte trascorsi nel suo letto, l’amore folle che li aveva presi per quella strana ragazza che diceva… porca mucca! E i funambolici dettagli di fellatio e sodomie indimenticabili! Lui, profugo, dai suoi genitori in montagna. I cornuti erano loro perché Monica sarebbe sempre tornata, anche se gliela dava solo una volta ogni due mesi, perché dopo anni di convivenza lo amava ormai come un fratello e quando facevano l’amore si sentiva in colpa… per l’incestuosità del rapporto. Non era geloso, semplicemente l’eccesso di libertà gli era venuto a noia. Nella sua impassibile determinazione, decise il gran passo: sbarazzarsi di lei. Con un notevole dispendio economico per le sue tasche esangui, decise di prendere un’iniziativa personalistica. Metterle un’inserzione. Andò a “La Stampa”: - a a a a bella venticinquenne, buon carattere, occhi azzurri, fisico di classe, altezza un metro e sessantacinque, desidererebbe conoscere ragazzi o uomini, max quarentenni, soli e incompresi, gentili, affabili e disponibili, possibilmente in valute, scopo affettuosa amicizia et eventuale matrimonio. Quel pomeriggio che non era ancora sera ma tendeva ad essere troppo tardi, Guido stava tornando dal lavoro d’inserviente in ospedale. Scese dalla A112 Special, azzurra metallizzata, che faceva la ruggine sotto le portiere, e notò uno strano organismo dark, punk, bestia, puzzolente, con catenelle, capelli a ciocche lubrificate e borchie, che levitava interdetto davanti al portone di casa sua. Si avvicinò sospettoso, con le chiavi in mano e quello… subito lo apostrofò con parole argute. “Scusa tipo”, disse l’oscuro con il chiodo sdrucito, “è qui che danno una ganza?” “Come?”, disse Guido, guardandolo stupito, “ma allora lo sanno anche cani e porci, oh, scusa, non volevo offendere la categoria. Ma tu… hai visto il cartello o hai letto l’inserzione sul giornale?” “Io ho dato una sbircia all’inserzione sulla Stampa, che diversità farebbe?” “Farebbe che m’incazzo, perché sta mattina, per sicurezza, ho messo sul portone uno di quegli avvisi di cartoncino, color mattone, scritto a pennarello … affittasi ragazza carina scopo matrimonio, eccetera… c’avevo appiccicato anche la marca da bollo, cazzo!!” farfugliò, diventando rosso come una bandiera del P.C.I. “Il solito stronzo ha strappato il cartello!” “Quando sono in vena lo faccio anch’io…” disse il punk. “Allora oltre che drogato marcio sei stronzo anche tu, in ogni caso, non ti preoccupare, se non si è sposata da poco, sta mattina era ancora libera.” “Meno male, mi togli una scimmia dalla spalla, sarà un mese che non puccio il pinguìmotta. Ma è una che la presta facile?” “Ma sì, non preoccuparti, la compri con due vestiti da zarra, quattro passi alla Rinascente e sei gite a Loano.” La progressione numerica era giusta, Guido non era un ignorante, fino alla tabellina del due ci arrivava. “Però devi conquistarla, farla innamorare, insomma”, concluse. “Io in quello ci vado giù duro, mi chiamano il Megatrone...” “E cosa sarebbe il Megatrone?” “Cerca di non fare il tardo, sii lesto, il Megatrone, la prestazione atomica, no?!” ”Megalomane.” “No, Megatrone… ma tu la conosci per sapere tutte ste cose?” “Un po’”, rispose laconico. “E dove devo suonare?” “Proprio qui, Peyron, al piano rialzato. Di che ti manda Guido, anzi, sali con me, ché non ho voglia di stare al bar fino a mezzanotte.” “Grazie, anche tu sei un seguace dell’ana?”, chiese il dark che aveva anche un percing tipo uncinetto dalla nonna, ficcato in una mano. “Ana che?” “Ana-rchia.” “Ah! rchia!” Seguì Guido, ondeggiando sulle gambe e abbracciando il man corrente, quasi fosse innamorato o fatto perso: si sputò sulle mani e se le passo tra i capelli verde pistacchio, per riordinarli. Entrarono. “Ciao star, sei tu la ganza coniugabile?” vomitò il dark, sbavando desiderio tutto d’un fiato, mentre Monica usciva dal gabinetto con una bacinella di Moplen, piena di panni da stendere. Indossava solo una canottiera bianca, trasparente, sdrucita, che la copriva fino a metà cosce, nude, lasciando intravedere natiche, peli del pube e capezzoli. “Sì, ma non ti merito, non sono all’altezza di un incrocio fra Dracula e Battiato”, rispose pronta. Chi è il mostro dal naso dantesco? Caronte?” domandò a Guido. “Non so, mi ha seguito”, disse lui, non potendo confessarle d’aver messo, a sua insaputa, un’inserzione sul giornale e un cartello matrimoniale fuori del portone. Il dark barcollò, colpito da stupore per la classe di Monica, incassò il gancio e riprese coraggio: “Qua la mano tipa spassosa… Antonio, sta sera ai Murazzi c’è un concerto dei Fatti Sotto Che Ti Taglio La Gola. Vienici, sono tosti, ci vanno giù duro col metal.” La rabbia crebbe in Monica come una malerba, non la calza, la cicuta. “Caronte, i metallari te li puoi ficcare dove dico io, quegli scantinati ammuffiti degli imbarcaderi non li frequento, io sono molto religiosa, mi sono votata ad Enrico Ruggeri. Ma dove l’hai pescato questo… nella discarica?!” Guido taceva o meglio farfugliava frasi disorganiche, quasi gnostiche, prossime all’estasi pneumatica: “Ci sono le gomme della macchina da cambiare, che sfiga, guarda che casino, non rifai il letto da una settimana...” “Già, e tu mi porti in casa l’ospite in via di sviluppo, il metallaro depresso…” “Sempre meglio di un militante del Partito Comunista d’Italia Marxista Leninista!” “Quelli arrivano la mattina verso le dieci. Se ne fregano del culo che si fa la casalinga media. Non ti lasciano finire i mestieri, continuano a suonare il campanello per venderti cerotti, religioni, spugnette, libri, battitappeti, ideologie, opuscoli. Non ne posso più, vogliono convertirti al consumismo, al comunismo, al contorsionismo…” “E’ vero, verissimo!”, infilò il dark Antonio, “Testimoni di Revlon, Hare Genova, Mormoroni, Ascoltoni...” “E i Santi Podologi degli Ultimi Calli...”, sospirò Monica, “... allucinanti, se gli offri un caffè o un pediluvio non te ne liberi più!” Guadagnò il balcone per stendere mutande, camicie, calzini spaiati e jeans tagliati e stinti. Guido e Antonio la seguirono come la scia segue la cometa. Lei continuò: “Ti entrano in casa e iniziano a farti la predica: - Pentiti! Convertiti! La fine degli occhi di pernice è vicina! Basta con i duroni, ti portiamo la parola della nostra veggente, la venerabile Pedicure!” “Ha ragione, sono proprio fuori, senti qui Antonio…”, riprese Guido sfogliando un opuscoletto illustrato. “Ti leggo un passo de L’Alluce Custode!” “Eh no, al massimo fischietta un pezzo de L’Unghia Disincarnata”, disse la ragazza. “Saranno anche fuori, ma hanno ragione”, proseguì Guido. “Non c’è più religione, ideologia, morale, ho paura della terza guerra mondiale, tremo per la fine del buon gusto…” Monica iniziò a saltellare, insieme al suo seno non prorompente ma appassionato: “Sì! Lanciamo un appello: israeliani, se proprio dovete radere al suolo i villaggi palestinesi, mettetevi le Timberland!” “Monica, sei cinica!” “No, casual elegante…” Antonio si piegò in due e mollò una scoreggia tremenda, colto da una colica improvvisa. “E il tuo amico fenomeno è una fogna… cos’hai, schifezza dark?” chiese lei, rivolgendogli la parola per la prima volta. “Pensare alla guerra mi fa contorcere le frattaglie, sento un moto all’intestino dall’alto verso il basso, come dire… la guerra mi fa cagare, ecco.” “La dissenteria pacifista è legittima ma volgare”, sentenziò la ragazza. “Ieri sera ho mangiato come un maiale…” “Ghiande?” chiese Guido. “No, spaghetti aglio, olio e peperoncino, insalata di patate con rucola, stracchino, petti di pollo, olive, fegato d’oca, salame piccante, pomodori, peperoni alla brace con l’aglio, salsiccia e montone in salsa di yogurt con i crauti. Ma niente senape, se no non digerisco.” “Tu sei malato di bulimia”, disse Monica. “Dici che sto marcendo??” “Forse sì, ma non sei grave, sei un depresso stitico. Scommetto che hai tentato di suicidarti, da poco.” “Sì, sedici volte in un mese.” “Complimenti, e perché sedici e non trenta?” stupì Guido. “Perché oggi è solo il sedici.” Monica lo squadrò e poi iniziò a girargli attorno: “Caro Caronte, tu sei un vigliacco psico-amebico con pulsioni di morte tanto poco coscienti da potersi definire parameciche, al limite estremo, tra persona e non persona, tra essere e non essere, questo è il problema, fra, fra… essere umano e verme”, concluse ridendo, fino schiattare. ”Come sarebbe a dire fra essere umano e verme?”, si offese Antonio. “Ha ragione, Monica, smettila di ridere, non si capisce, facci un esempio... come chi?” “Come, come…come… Al Bano! Al Bano!” “Ha ragione Monica, non sei adatto al matrimonio. Sei infantile, sciatto e trasandato…” “Scommetto che sei pure stonato”, disse Monica, “come puoi sperare di attrarre una donna?” “Io posso avere tutte le donne che voglio!” “Ah sì?! Quante volte hai fatto l’amore recentemente?” chiese lei per provocarlo. “Una volta, due anni fa, alle Vallette. Erano le tre di notte, al capolinea del tram. Al primo appuntamento le ho portato uno spinello e lei mi ha dato un bacio. La volta dopo una pianta di marijuana e lei mi ha dato la fi…” “Zitto, non essere volgare. Era sexy, almeno?” “Era così bona che Day Boy ha pubblicato le sue foto e il mese dopo le sue radiografie. Quando si tolse il reggiseno pensai: tutto questo ben di Dio è solo per me?!” “Tutto quel ben di dio non è stato solo per te? “A me ha dato la mano al cinema, agli altri le parti migliori.” “Beh, meglio mangiare una torta in tanti che una cacca da soli”, disse Guido, rifacendosi ad una lunga serie d’esperienze. “Stai zitto, secondo me il tuo amico…” “Non è un amico, ti dico, mi ha seguito nel portone e si è infilato in casa.” “E’ un randagio in cerca d’affetto.” “Vuoi un po’ di latte in un piattino?” chiese Guido al dark Antonio, che lo fissò con due occhi da bracco disperso sull’autostrada a ferragosto. “Guido, questa povera bestia è scoraggiata e in crisi d’astinenza. Voglio aiutarti. Pentiti e avrai la salvezza nelle tue mani!” “No! Che se mi vengono le stigmate... non possono più andare a giocare a biliardo!” “Ma sono un premio del cielo!” “Preferisco vincere al Totocalcio.” “Blasfemo. Guido, vai a farti un giro, che me la vedo io col cochon.” Peyron uscì interdetto. Il termine cochon, in francese porco, gli rimbombava nel cervello. Cosa intendeva Monica con quel… me la vedo io? Solo il punk poteva vedergliela, sempre che non usassero lo specchio davanti al letto. Monica, infatti, diventò una gattina, gli fece gli occhi dolci, lo spinse sul divano e gli sedette accanto, accavallando le gambe in modo che la maglietta scendesse fino all’inguine. Il dark Antonio iniziò a sperare, ma lei aveva altre intenzioni: “Non guardare troppo e rispondi sinceramente. Prometti di dire tutta la verità?” “Nient’altro che la verità!” “Dì lo giuro!” “Lo giuro.” “Bene, allora, sputa il rospo: la mamma ti allattava al seno?” “No, preferiva il postino.” “E quando eri piccolo ti portavano in vacanza?” “Sì, a Cesenatico, mi lasciavano fare il bagno anche di notte, ma io riuscivo sempre a ritrovare la strada dell’albergo.” “Ho capito sei diventato una schifezza perché tuo padre ti picchiava con la cinghia dei calzoni.” “Non mi ha mai picchiato con la cinghia, mi schiaffeggiava con i piedi…” “Vorrai dire con le mani.” “No, con i piedi… di porco. Faceva lo scassinatore… ci facciamo una canna?” Monica lo guardò severamente, mentre cacciava fuori delle tasche uno spinello: “Che cosa fai, fumi?! Quella roba ti spappola il cervello, fra un paio d’anni non sarai più un’ameba ma un protozoo.” “Figurati, il fumo non da assuefazione, ho cominciato a sette anni.” “A sette anni?!!” “Sì, e ad otto mi sono fatto mia cugina, che ne aveva dodici.” “Porca mucca, deve essere stato orribile?!” “Non mi ricordo bene, ero ciucco perso.” “Ma sei imbecille? “No, viziato, emarginato, drogato, disoccupato e non me ne frega un casso…” “Allora è tutto okay.” “Key, dammi un cinque, tipa…” Mentre il punk Antonio aveva conquistato il ginocchio destro di Monica con l’organo tattile sinistro, pronto a scivolare verso la tana della belva, trillò una suoneria digitalizzata. Lei si alzo di scatto per correre in cucina, lasciandolo con un palmo di mano: “Scusa, adesso devo mandarti al diavolo… sì, pronto, sì, no, pronto sì, pronto no, pronto più sì che no o più no che sì? Più che non so, non si sente un accidente, accidentaccio, ma chi sei?! Ah, ho capito! Sporcaccione, suino, sudicio procione, ti adoro, sei così romantico. Perdonato: ci vediamo sta sera.” |
La Via del Bene Crudele