Guido è uscito presto e da un'ora e sedici minuti è seduto al tavolino del bar sotto casa. Legge svogliatamente il giornale. Ha passato la notte da solo ed è proprio di cattivo umore.
Quella non doveva fargliela, trascendere con un fascista! Sporca reazionaria, solo perché era un bel ragazzone biondo, muscoloso, corredato di tartaruga muscolare, spider e moto, con la villa in collina. Non se lo aspettava da Monica, che aveva sempre detto di non amare i tipi arroganti, bellocci, sempre abbronzati e palestrati. Cosa aveva più di lui? Tutto, ma tanto lo disprezzava perché era troppo gentile. Non poteva durare. Doveva restare una storia segreta, ma una mattina Uccio gli aveva telefonato in ospedale. Gli aveva detto: Guido, Monica ci tradisce!” Si disse pronto ad essere lo strumento della sua vendetta, quella sera stessa avrebbe cambiato la serratura di casa e l’avrebbe lasciata fuori, al freddo. Che dormisse sulla moto reazionaria. Era certo che quell’adone non le piaceva, le faceva schifo, ci andava a letto per frustrarlo, per dirgli indirettamente: - Guido sei un fallito, sei un Topo Gigio qualunque! Bisognava smerdarlo, fare qualcosa d’eccezionale per riguadagnare la stima e l’amore della sua donna, così bellissima che gliela scopavano tutti. Gli venne in soccorso un’inserzione: “Importante produzione cinematografica cerca attori e figuranti speciali per il prossimo film del regista Richy Melis Sensazioni Voraci. Presentarsi presso la CINES JUHU. Pensò: “Ci vuole proprio, tanto per restare in tema, così mi sfogo che c’ho degli arretrati notevoli.” “E’ qui che fanno i provini di Appetiti Spropositati?”, bisbigliò entrando nell’ufficio della CINE JUHU, strizzando istericamente l’occhio destro a causa del solito tic. “Manco pe’ gnénte!” gridò la ragazzina bruna con la minigonna cortissima e un accento romano teribbile, (però, aveva un paio di mutandine di pizzo bianco e un inguine dolcissimo, sotto la scrivania, tra le sue gambe abbronzate e tornite, non accavallate bensì divaricate). “Stamo a fa’ li provini de Sensazioni Voraci, concluse la ragazzetta. “Appetiti Spropositati, Sensazioni Voraci, com’è pignola, mi sono sbagliato”, riprese Guido, che per l’occasione aveva messo su un doppio petto azzurrino con camicia bianca e una cravatta chiara comprate al Balôn un sabato mattina che pioveva un casino. “Non è lo stesso!” strillò lei istericamente. “Va bene” sussurrò, Guido, trattenendo un rutto improvviso, per poi diventare rosso come un’aragosta che nuota nell’acqua bollente. “A me non me frega niente. Se proprio vuole fare il coso, sì cosi lì, in fila, e non spinga.” “Grazie, finalmente ha capito che ho delle chance…”, disse Guido. “Sì sì, ma me riccomanno, nùn faccia er furbo, che prova a passare davanti agli altri, che tanto c’avete i nummeri pregressivi e vi chiamano a gruppi di quattro. Vediamo un po’ il suo di numero… tò! Sessantanove! C’ha un culo pazzesco lei. Vedrà che le porta bene. Si metta in fila e non faccia ressa, risparmi le forze che deve da spigne dopo” concluse la ragazzina bruna con la minigonna cortissima, aggiustando il sedere sulla sedia e sistemando con un rapido colpo d’indice l’elastico un po’ stretto delle mutandine. Guido, tramortito da quel fiume di parole, si apprestò a prendere posto nella lunga fila, ma fu ancora trattenuto: “Aò, an do’ va? An vedi questo, vie’ qua che te devo da fa er questionario…” “Che questionario?” “Er quizze, no?! Che devi da risponne… sincero però, capito?” “Sì, sincero, prometto.” “Tu prometti e io te devo da premette che nun se vince niente.” “Non mi piacciono i questionari.” “Ah no?! Niente questionario, niente provino.” “Okay, se proprio si deve… si deve?” “Sì, si deve. Vado?” “Vada, vada.” “Nome e cognome?” “Guido Peyron.” “E’ sicuro?” “Come sarebbe? Vuole che non sappia come mi chiamo?!” “Non si arrabbi, a volte un’amnesia, io scrivo Guido… Pieron… come ha detto?” “Peyron.” “Che razza di cognome, nun sarebbe stato mejo, chennesò, Holmese, Gionne Holmese? Vabbè, io metto Peyron, a suo rischio e pericolo… andiamo avanti. Sesso?” “Ma che domande!” “Reticente, eh?!” “Ma che reticente, non lo vede il mio sesso?” “No, non lo vedo, ma so’ sicura che se je vedessi er sesso me farebbi du’ risate. Ripeto: sesso?” “Maschile, maschile, vado fuori!” “No, resti qui, e non si agiti, io metto M, ma se me stai a racconta’ ‘na fregnaccia so’ cavoli tua. Occhi?” “Sia buona, non li vede da lei?” rispose il giovane, strizzando istericamente l’occhio destro, sempre a causa del solito, antiestetico, tic. “Aò, nun me fa’ l’occhiolino sa’! ‘Sto stronzo, an vedi! Nun fa’ lo spiritoso, tanto non sei il mio tipo. Eppoi l’occhi azuri nun me so’ mai piaciuti. Ripeto la domanda: occhi?” “Okay, okay, azzurri.” “A-zu-ri! Buono. Capelli?” “Castani.” “Castani? Che mi significa Castani? Castani di che colore? Cenere, chiari, scuri, naturali, tinti…” “Castani e basta!!” “Ma mi faccia il piacere, Castani?! Al naturale saranno neri!… mi sa che se li tocchi più de tre secondi ti cascano le mani, tanto sono zuppi d’acqua ossigenata!” sbottò ridendo sguaiatamente, la quarantenne grassa ma sensuale, con due tette enormi da capo comparsa ed il rossetto color fucsia feroce, masticando una gomma americana. “Maledetta!” sibilò Guido. “Non si può nascondere niente, nel mondo dello spettacolo, siete delle iene. Ebbene sì, li ho schiariti.” La quarantenne grassa riprese a ridere, masticando la gomma. “Lo dicevo io che questo è frocio”, concluse la grassona sensuale, fulminando con un’occhiata la ragazzina bruna con la minigonna cortissima. “Sono solo più luminosi, non crede che mi doni l’ossigenatura?”, chiese, apprensivo, Guido ad un nano di passaggio. “Ah, lei è particolare, allora nùn se né fa gniente” disse la ragazzina bruna con la minigonna cortissima. “In questo film particolarmente, non ci servono in particolare dei generici particolari, che n’abbiamo già diversi per le scene particolari fra particolari, a meno che…” “A meno che?” “A meno che lei, tu, diamoci del tu, non sei veramente, come dire… “ “Come dire?” s'intromise il nano di passaggio, un po’ anzianotto, con il panciotto rosa salmone, mentre Guido finiva di scaccolarsi il naso. “A meno che… sì, insomma, a meno che lei, tu, non sei veramente, cioè, che non c’hai veramente una fame arretrata pazzesca, ecco” “Ce l’ho, ce l’ho, ce l’ho sempre, anche adesso” sbottò il Peyron. “Sarà”, riprese la ragazzina con la minigonna cortissima “ma dalla taglia non si direbbe”, concluse, scagliando un’occhiata improponibile al cavallo dei calzoni dell’uomo, che se ne accorse: “Basta! Si vergogni, l’ho vista che mi guardava lì. La mia taglia, il mio, come dire, appetito, non la riguarda!” La ragazzina bruna con la minigonna cortissima si sentì rifiutata e andò su tutte le furie: “Aò, an vedi questo! Sto morto de sonno! Io de gente che c’ha un come dire spropositato ne posso avere quanta ne voglio! Tié, guarda! E guarda, guarda!” urlò, alzandosi in piedi la ragazzina bruna con le mutandine di pizzo bianco, non nascondendo più dietro la scrivania quel popò di roba buona. “Guarda, nùn credo che hai mai visto gniente de più vorace!” Un applauso, accompagnato da fischi d’assenso, salutò il bel gesto di comunione: “Brava! Ammazza che roba! Grandioso, godere di libidine!” esclamò il freak con i capelli unti e l’orecchino da pirata. Tutti si avvicinarono alla ragazzina bruna con la minigonna cortissima e la circondarono, tendendo le mani vogliose. “No, fermi, giù le zampe!”, gridò, vistasi prossima al supplizio. “Come?! Non vuoi? Prima ci stuzzichi, e poi non si può?! Sotto gente, disfiamola!”, gridò il giovanotto di buona famiglia con il vestito Lebole. “La prego, faccia un’eccezione; le spiace se guardo solo un po’, sa, per raccontarlo ai bambini…” s’intrufolò il padre di famiglia, con il pancione molliccio ma fremente. Ormai la situazione stava precipitando e il generale sommovimento stava facendo scendere la minigonna cortissima alla ragazzina bruna: anche le mutandine di pizzo bianco non sembravano più in grado di resistere all’assalto. “Vabbè, ma piano, uno per volta, sennò vie’ fuori ‘n maciello…” Ma non fece in tempo a finire la frase che ormai ce n’aveva la bocca piena. “Aò, tosto, meravjoso” riprese la ragazzina con la minigonna cortissima, “ancora, ancora, mmh, dolce dolce, mmh. sembra vaniglia, scusate se lo lecco, lo so che non sta bene ma…” “Ehi, lasciane anche un po’ a me!” disse la quarantenne grassa con le tette enormi, facendosi largo tra la folla. “Non sono più in forma come un tempo, sono un po’ ingrassata, ma mi piacciono un mucchio… permette caro?” disse la cicciona alla comparsa, che nella vita faceva il dentista. Glielo strappo letteralmente di bocca alla ragazzina con la minigonna cortissima, cacciandoselo tra le labbra con golosità: “E’ vero, sembra vaniglia, ma ha un retrogusto di mandorle.” L’esempio era dato, il dado era tratto, tanto tanto tratto. Le donne presero coraggio e si avventarono fameliche sul banchetto. Le mani volavano qua e là come se mai n’avessero visti di tanto appetitosi. Alcune se ne cacciarono nel gargarozzo due per volta. Gli uomini, compreso Guido, le guardavano esterrefatti ed impauriti, cercando di placarle. “Calma, sarebbe meglio smetterla, stiamo esagerando!” gridò il nano di passaggio con il panciotto rosa. “Zitti! Basta! Cos’è ‘sto casino?!”, urlò il regista, aprendo la porta dello studio di ripresa. “Chi vi ha dato il permesso?! Porca miseria, avete rovinato tutto, adesso come li facciamo i provini? I pasticcini erano per la scena del rinfresco!” |
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